«Il soprannome "Ringhio" me lo ha dato Carlo Pellegatti, e ora mi conoscono più come Ringhio che come Gennaro».
Sulla chiamata del Napoli. «Quando ho accettato sapevo bene di venire in un grande club, che negli ultimi 7-8 anni è diventato uno dei primi al mondo. Mi ha colpito la chiamata di ADL perché non me l'aspettavo. Sono stato subito contento, pur sapendo delle difficoltà . Allenare questi giocatori e lavorare in una città così mi dà carica e soddisfazione. Quando andrò via voglio essere ricordato per la serietà , la voglia, per aver fatto cose importanti, poi i giocatori devono essere gli idoli perché loro vanno in campo».
«Da giocatore ho curato più la mia carriera che la mia persona. Non mi aspettavo di vincere due Champions, il Mondiale. I sogni si avverano, bisogna crederci senza mollare mai. Al di là dei trofei, mi interessa avere uno stile, coerenza, credibilità , farsi seguire dai propri giocatori».
Su Gattuso allenatore. «La grinta resta, è una mia caratteristica, ma è una grinta diverse, bisogna essere più riflessivi e conoscere i giocatori caratterialmente. All'inizio pensavo ai giocatori tutti uguali, ho sbagliato per qualche anno, non è corretto perché ognuno è diverso ed ha una chiave diversa. Il calcio è cambiato tantissimo negli ultimi anni. 10 anni fa vedevamo 30 minuti di spezzoni, non c'era match analysis, oggi ci sono telecamere fisse, c'è un grande fratello, si analizzano anche gli allenamenti e non solo gli avversari. Abbiamo tanti strumenti in più per valutare la forma, è cambiato molto. Ci sono molte più informazioni, negli staff ci sono 15 persone. Oggi ci sono rose di 25 giocatori, lo staff ed altri 15 fisioterapisti ed altri da gestire, hai la comunicazione che lavora con te con altre persone. L'allenatore deve dare una linea guida a 70-80 persone, non è facile e la bravura è nel farsi capire subito. La squadra non è solo quella che scende in campo, ma tutti quelli che stanno a contatto con la squadra. La carriera che ho fatto da giocatore mi ha aiuto nelle dinamiche giornaliere, ma è totalmente diverso come lavoro. Serve grande conoscenza, non basta aver giocato a calcio perché il calcio è cambiato tanto, così come la metodologia».